domenica, aprile 23, 2006

CIAD e SUDAN : INIZIA IL GENIOCIDIO


In Africa c’è un conflitto tra dittature che può sfociare in una crisi enorme
Nei giorni scorsi formazioni di ribelli provenienti e appoggiati dal Sudan hanno cercato di impadronirsi della capitale del Ciad, Ndjamena, ma sono stati respinti grazie all’aiuto determinante dei militari francesi. L’obiettivo dei miliziani era quello di impedire la celebrazione, il 3 maggio prossimo, delle elezioni del Ciad, boicottate dalle opposizioni, che sanciranno l’ennesima conferma del presidente Idriss Derby. Quest’ultimo ha deciso di riarmare le sue milizie, denunciando un piano sudanese per destituirlo. Mentre il Sudan sostiene che il vicino Ciad appoggi le popolazioni del Darfur sudanese, aggredite da tre anni dalla guerriglia islamica di Khartoum. Né la mediazione libica né l’intervento francese e men che meno le truppe di interposizione inviate sul confine dall’Unione africana sembrano in grado di fermare l’escalation, che potrebbe dar luogo a un conflitto incontrollabile. L’affermazione del presidente, secondo il quale “il Ciad è un ponte, se il ponte cede, si può dire addio a tutta la regione. Potrebbe essere una situazione ancora più grave del conflitto dei Grandi laghi”, purtroppo è realistica. In queste zone, dove è endemico il conflitto etnico e religioso, due regimi deboli e autoritari puntano a salvarsi combattendo un “nemico” esterno. La scintilla di uno scontro militare può accendere il falò delle tensioni etniche, col rischio concreto di genocidi come quelli che hanno insanguinato il Ruanda. Non è un caso che nella benedizione pasquale Benedetto XVI abbia citato, tra le aree che destano preoccupazione, per prima quella africana. La comunità internazionale ha già mostrato tutta la sua impotenza durante i conflitti dei Grandi laghi e ora sembra avviata sulla stessa strada per quel che riguarda il Darfur sudanese e il Ciad. L’estensione di questi conflitti, considerati minori perché non intaccano aree strategiche, rappresenta invece un pericolo gravissimo e non soltanto sul piano umanitario.

sabato, aprile 08, 2006

FORSE E' IL FUTURO DELL'ENERGIA


CHI arriva in Islanda da un qualunque Paese europeo si trova catapultato in un ambiente che sembra quello di un mondo extraterrestre. Chilometri di colate laviche, pozze di fango ribollenti, getti di vapore e gas che si alzano da fratture e decine e decine di coni vulcanici ancora attivi o al massimo dormienti. Sotto questa sottile crosta, sempre pronta a spezzarsi per lasciare fuoriuscire colate laviche provenienti dal mantello terrestre, c'è il futuro dell'energia pulita. Da quando gli islandesi hanno avuto i mezzi per sfruttare il calore proveniente dal magma che ristagna sotto l'isola l'hanno utilizzato per riscaldare case e serre, ma anche per produrre elettricità. Da sempre, tuttavia, hanno estratto i vapori lontano dai vulcani più attivi. Ora invece hanno iniziato a perforare direttamente il cuore di un'area vulcanica. Il loro progetto, da 20 milioni di dollari, ha come obiettivo quello di ottenere 10 volte più energia rispetto ad ogni progetto precedente e capire qual è il meccanismo che muove la crosta degli oceani sulla quale è sorta l'Islanda. L'isola infatti si trova lungo la Dorsale Medioatlantica, la catena di vulcani che divide in due l'oceano. Da questa ruga vulcanica il magma che fuoriesce "spinge" a destra e a sinistra le placche oceaniche confinanti e giorno dopo giorno crea nuova crosta oceanica che va a rimpiazzare quella che sposta. La maggior parte della dorsale si trova a migliaia di metri sotto il livello del mare, ma in prossimità dell'Islanda è venuta vicino alla superficie e così le continue eruzioni hanno creato l'isola che è emersa circa 17 milioni di anni fa.
Grazie a questa particolare situazione, circa il 90% delle case islandesi sono riscaldate dall'energia catturata dai magmi vulcanici. Numerose infatti, sono le stazioni geotermiche che producono elettricità sfruttando il vapore estratto da pozzi profondi da 600 a 1.000 m, dai quali esce a 240° C. Ma ora gli Islandesi vanno oltre. Omar Friedleifsson dell'Iceland Geosurvey è responsabile del IDDP (Iceland Deep Drilling Project): "Poche settimane or sono abbiamo perforato un pozzo profondo 3.082 metri, ma ora vogliamo raggiungere almeno i 4.000 m di profondità". Il pozzo perforato è chiamato tecnicamente RN17 e si trova sulla penisola Reykjanes. Questo pozzo tuttavia, che era il candidato numero uno per raggiungere la profondità necessaria, è stato abbandonato a causa di un crollo interno che impedisce di proseguire la perforazione. Il progetto è stato spostato in un altro sito, un'area detta RN19, non molto distante dalla prima. Tra poche settimane inizierà la nuova perforazione. A circa 4.000 metri di profondità i ricercatori sperano di trovare ciò che viene definita "acqua supercritica", una condizione dell'acqua che è una via di mezzo tra il vapore e l'acqua fluida, ma che ha in sé una enorme quantità di energia. Ciò significa che da un solo pozzo dove la temperatura potrebbe essere di circa 300 gradi centigradi con una pressione 200 volte superiore a quella che vi è sulla superficie terrestre, si può estrarre energia per creare una centrale geotermica con una potenza compresa tra i 5 e i 50 megawatt, energia paragonabile a quella di una piccola centrale atomica. Abbinando questa immensa riserva energetica al progetto che vuole utilizzare l'idrogeno per tutti i veicoli circolanti, l'Islanda potrebbe diventare il luogo abitato più "pulito" del pianeta entro il 2010.

giovedì, aprile 06, 2006

COGLIONE! E'DAVVERO UN INSULTO?

Uno degli ultimi scivoloni del Presidente Berlusconi è oggetto di vituperio per una cosiddetta parolaccia usata nei confronti degli avversari politici, anzi di tutti gli elettori che hanno intenzione di votare contro l'attuale coalizione governativa e, in particolare, contro chi la presiede.
Scandalizzarsi per una loquela sboccata è forse esagerato, anche se un ruolo istituzionale dovrebbe comportare un certo stile e una certa decenza; una parola scurrile suona diversa se pronunciata da un marinaio alticcio che inciampa su uno scalino o da un vescovo che celebra una funzione religiosa.
In ogni caso, lo scandalizzato stupore è fuor di luogo, perché ciascuno, in ogni momento della sua vita, fa esattamente quello che può ovvero usa i talenti che senza suo merito né demerito gli sono stati dati, come dice la parabola evangelica.
Evidentemente, in quella circostanza il Presidente del Consiglio non aveva altri concetti o altre parole a sua disposizione.
Non è dunque l'innocente volgarità da caserma che deve essere bollata.
In quella frase c'è qualcosa di ben più grave e sovversivo, che perverte il senso della politica.
Il presidente in via di uscita ha offeso chi vota senza pensare solo al proprio interesse.
Con un unico insulto, ha liquidato secoli di pensiero liberale e di riflessione sul rapporto fra l'individuo e la collettività o lo Stato, fra l'interesse privato e quello pubblico, fra il bene individuale e quello comune.
Aristotele Rousseau Locke Croce Einaudi e innumerevoli loro colleghi entrano così d'ufficio nella categoria che il presidente in scadenza ha definito con simpatica familiarità goliardica ossia nella categoria di chi vota pensando non soltanto al suo interesse, non soltanto al suo particulare.
È questa l'aberrazione, non il linguaggio colorito e plebeo.
Alle elezioni si vota per eleggere chi guiderà il proprio Paese.
Del proprio Paese fa parte ogni cittadino, il quale, legittimamente anzi doverosamente, vota pensando anche, e fortemente, ai propri interessi; scegliendo i governanti che gli sembrano più capaci di garantire a lui e alla sua famiglia lavoro, sicurezza, benessere, dignità.
E' ovvio, ed è bene che in questa scelta rientri la considerazione della propria situazione personale, della propria categoria, delle proprie prospettive e dei propri beni. Gli interessi, prettamente intesi, possono essere più morali di astratti e furiosi ideali, come ha scritto Sergio Romano, perché responsabilmente attenti alla realtà e alle conseguenze, pure a lungo termine, di ogni atto e di ogni scelta.
Ma la civiltà e la maturità politica consistono nella capacità di collegare il proprio interesse con quello generale, di capire la loro reciproca indissolubilità, e si misurano col metro di questa capacità. Io faccio il professore universitario; è comprensibile che non sia disposto a dare il mio voto a un governo che si proponesse di ridurre alla fame o di deportare i professori universitari, ma meriterei l'epiteto caro al presidente in via di scadere se votassi pensando solo alla confraternita degli insegnanti universitari e questo vale per ogni categoria.
Al servizio di trasporti urbani della mia città chiedo certo di non trascurare il rione in cui abito, ma non soltanto di non trascurare quel mio rione; tutto ciò acquista una speciale intensità quando entrano in gioco esigenze primarie quali la sanità, la scuola, la dignità, le possibilità offerte potenzialmente a ognuno, la sicurezza.

Chi può finanziariamente permettersi una nutrita e costante guardia del corpo, potrebbe personalmente infischiarsene delle rapine e delle aggressioni, ma non per questo necessariamente vota per ridurre le forze e le dotazioni della polizia; in questo caso, una persona civile vota apparentemente contro il proprio interesse, ma vota in realtà per il proprio interesse, che è quello di vivere in un Paese in cui la sicurezza è un bene generale.
Guicciardini sferzava gli italiani accecati dal loro tornaconto particolare e perciò distruttori del bene dell'Italia e dunque di se stessi.
La ramanzina al presidente agitato per il suo congedo non ha bisogno di ricordagli eroi, ma non per questo vengono ricordati col termine a lui così caro.
Ogni volta che camminiamo per la strada sappiamo che il nostro interesse coincide in parte con quello degli altri passanti, ugualmente minacciati da eventuali buche e disposti a qualche piccolo sacrificio per colmarle.
E se ad offendersi per quell'epiteto fossero i cittadini che si apprestano a votare per l'attuale governo?